di Raffaele Lomonaco ed Ilaria Sequino
La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli enti privi di personalità giuridica
Il Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231 disciplina la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica per fatto dipendente da reato, sia esso commesso da soggetti in posizioni apicali, amministratori e dirigenti, sia da dipendenti, collaboratori o consulenti sotto il loro controllo.
A seguito di accertamento di responsabilità amministrativa dipendente da reato, l’articolo 9 del Decreto, prevede l’applicazione di sanzioni pecuniarie ed interdittive, la confisca e la pubblicazione della sentenza.
Di conseguenza, attraverso le sanzioni pecuniarie e la confisca l’ente subisce un danno economico a causa di coloro che, occupando posizioni apicali, hanno tratto vantaggio dalla commissione dell’atto criminoso; attraverso le sanzioni interdittive all’ente incriminato viene impedito l’accesso alle attività con la pubblica amministrazione ed ai sostegni pubblici; attraverso la pubblicazione della sentenza di condanna viene discreditata l’immagine dell’ente evitando che lo stesso possa continuare ad operare illecitamente ed inosservato dall’opinione pubblica. Le sanzioni strettamente penali derivanti da reato restano in capo alle persone fisiche autrici delle stesse, secondo il principio del “societas delinquere non potest”.
La responsabilità amministrativa commessa da soggetti con posizione apicale in seno all’ente insorge solo se ed in quanto:
- venga accertata la responsabilità di un soggetto con funzioni direttive o manageriali di un ente ricompreso nel Decreto medesimo;
- il fatto criminoso sia ricompreso nell’elenco dei cosiddetti “reati presupposto” contenuti nel Decreto
- l’ente cui il soggetto appartiene, da tale reato abbia tratto vantaggio.
Ricorrendo tali condizioni, una volta accertata la responsabilità penale di un soggetto apicale, un ente può essere colpito con le sanzioni amministrative citate.
L’ “esimente”
La disciplina del Decreto 231/01 prevede “un’esimente”, ovvero la possibilità per l’ente di non subire nella sua interezza le conseguenze spesso disastrose di una sanzione amministrativa per un’azione criminale commessa da una singola o gruppo ristretto di persone; l’ente può escludere la responsabilità amministrativa qualora adotti, preventivamente strumenti manageriali, che se mantenuti attivi e opportunamente controllati, offrono una difesa all’applicazione delle sanzioni.
Al fine di evitare le conseguenze amministrative derivanti dalla responsabilità penale dei suoi apicali, l’ente potrà dimostrare che (art.6 D.lgs. 231/2001):
- prima della commissione del fatto, il suo organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, un modello di organizzazione e di gestione (MOG) idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
- è stato affidato il compito di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza dei modelli a un organismo di vigilanza (O.d.V.) dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
- le persone fisiche hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
- non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’Organismo di Vigilanza.
I contenuti dei MOG
I modelli di organizzazione gestione e controllo richiedono l’adozione di un sistema gestionale pianificato e formalizzato che in relazione all’estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, dovranno rispondere alle seguenti esigenze (art. 6 D.lgs. 231/2001):
- individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati;
- prevedere specifici protocolli (procedure gestionale ed operative) diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire;
- individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;
- prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli;
- introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
Nessun modello di gestione e controllo può essere considerato “idoneo” tout court; ciascun ente deve individuare il proprio modello in considerazione delle dimensioni, dell’organizzazione interna, del tipo di attività svolta e delle richieste dei propri stakeholder. Occorre procedere alla “mappatura” dei processi interni, all’individuazione e valutazione dei rischi di commissione di attività illecite ed alla definizione delle specifiche idonee misure di presidio che rispondano ai criteri citati dall’art. art. 6. comma 2. In particolare i modelli di gestione e controllo devono essere progettati partendo dall’analisi del contesto nel quale l’ente opera, al fine di analizzare i processi organizzativi e gestionali focalizzando l’ “assessment” sui possibili comportamenti illeciti; definire quali modalità verranno adottate per la gestione delle risorse per impedire la commissione dei reati; devono contenere la previsione di un organo di vigilanza e le regole per garantire che obblighi di informazione a tale organo siano rispettati; disciplinare un sistema idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
Diffusione dei MOG
Il legislatore, con il Decreto 231, non ha introdotto un obbligo giuridico di adozione dei modelli; pertanto gli enti hanno facoltà di scegliere se affrontare i rischi di vedere depauperato il proprio patrimonio materiale ed immateriale per la colpa dei propri apicali o di adottare modelli organizzativi che costituiscano un esimente all’applicazioni delle sanzioni. Nonostante la mancata previsione di un obbligo giuridico i modelli di gestione e controllo hanno avuto un’ampia diffusione negli ultimi anni e gli stessi enti, pubblici e privati, si sono resi promotori di una cultura volta a garantire il rispetto della legalità.
Inoltre nel settore pubblico diventano sempre più frequenti i casi in cui enti istituzionali e similari richiedono ai propri fornitori o partner, ai fini per la partecipazione a gare o la stipula di convenzioni, l’adozione di un modello organizzativo; testare la trasparenza e la solidità dell’interlocutore prima di stringere un sodalizio contrattuale è più conveniente che affrontare i costi di un possibile futuro dissesto.
Anche nel settore privato le grandi e medie aziende, che si erano dotate di propri modelli di gestione e controllo, hanno iniziato a richiedere ai propri interlocutori, fornitori e partner, di sottoscrivere il proprio codice etico come parte integrante degli accordi negoziali con conseguente effetto “deployment” attraverso la catena degli stakeholder.
A imprimere un impulso alla diffusione dei MOG è l’aggiunta, dalla data dell’emissione del Decreto, del numero dei reati previsti dalla disciplina con conseguente aumento del numero delle attività sensibili e pronunce giurisprudenziali; pur non modificandosi la natura volontaristica dell’adempimento, se ne richiede di fatto, in misura sempre maggiore, l’applicazione da parte degli enti ricompresi nel campo di applicazione del Decreto. Di conseguenza ove i rischi di commissione dei reati ricompresi nel novero del Decreto 231/2001 siano ritenuti rilevanti da parte degli enti pubblici appaltanti o dalla contrattazione tra privati, di fatto la mancata adozione di un MOG, conforme al Decreto 231, risulta ostativa alla stipula di contratti ed in ogni caso impedisce l’istaurazione e la fluidità di alcuni rapporti negoziali.
Decreto 231 ed applicabilità agli enti no profit
Gli enti no profit rientrano tra i soggetti di applicazione del Decreto 231 del 2001, essendo espressamente individuati nelll’art.1: “Le disposizioni previste nel presente Decreto si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica”.
Nel passato la dottrina aveva sostenuto l’inapplicabilità della disciplina a tali enti ritendendo che non fossero portatori di interessi economici; le condizioni di cui all’art. 5 D.lgs. 231/2001 ovvero l’esistenza di “vantaggio o interesse”, poiché intesi in senso economico, non si configuravano alla natura degli enti non profit. Attualmente dottrina e giurisprudenza ne confermano l’applicabilità; vantaggio o interesse non hanno alcuna caratterizzazione esclusivamente economica, in quanto possono configurarsi anche per reati di natura non economica quali di lesioni gravi e gravissime o omicidio colposo.
Si evidenzia che rischi di commissione di alcuni reati “presupposto” da parte di enti non profit sono molto elevati in quanto possono più facilmente concretizzarsi laddove questi ultimi ricevano agevolazioni e sovvenzioni pubbliche, si relazionino con enti di natura pubblicistica ovvero operino in aree di attività più esposte a rischio di uno dei reati presupposto. A riguardo la Delibera n. 32 del 20 gennaio 2016 emessa dalla Autorità Nazionale Anticorruzione ed intitolata “Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali” (Pubblicata nella Gazz. Uff. 6 febbraio 2016, n. 30), al paragrafo 12, esorta le stazioni appaltanti “a verificare l’osservanza, da parte degli organismi no-profit, delle disposizioni di cui al D.lgs. 231/2001”. Gli enti no-profit “devono dotarsi di un modello di organizzazione” e devono “procedere alla nomina di un organismo deputato alla vigilanza sul funzionamento e sull’osservanza del modello e all’aggiornamento dello stesso. Sebbene trattasi di delibera e non di obbligo legislativo, da tale “esortazione” rivolta alle stazioni appaltanti discende la necessità per gli organismi no-profit che intendono acquisire servizi sociali da amministrazioni pubbliche, di dotarsi di un modello di organizzazione per la gestione dei rischi in base alle previsioni del D.lgs. 231/2001 (c.d. MOG) e di procedere alla nomina di un Organismo di Vigilanza (OdV).
Ne consegue l’opportunità, sempre più manifesta, che gli enti non profit si dotino di un MOG al fine di costituire presupposti esimenti all’applicabilità delle sanzioni della disciplina del Decreto 231.